Da Ottorino a Becco-di-rame alle paralimpiadi
Non avevo più voglia di scrivere qui. Chi è stato un mio fedele lettore sa bene il perché. Ma oggi mi sono imbattuta di nuovo nella storia di Ottorino, l'ultima che avevo raccontato (le successive le avevo programmate in precedenza), e ho sentito il bisogno di riprenderla. Il post su Ottorino l'avevo scritto il 25 febbraio, solo 72 ore prima che la mia vita cambiasse per sempre. Ottorino aggredito dalla volpe, privato del becco, destinato a morire di fame e di sete. Riportato alla vita da una insperabile protesi di rame che ha accettato. Un'oca che accetta la sua menomazione, che del suo essere diversa da tutte le altre non si fa un cruccio, anzi! Ecco la storia di Ottorino due anni dopo il mio primo post, Ottorino che adesso si chiama Becco-di-rame e che rischia di essere la mascotte delle prossime paralimpiadi. Non sai mai cosa ti riserva la vita.
Non comincia col classico «C'era una volta», ma con «Cari piccoli miei vi racconto la mia incredibile storia...». Il tempo è presente. E la storia è vera. Protagonisti: un'oca e il veterinario che le ha ricostruito il becco (spezzato) con una protesi di metallo. Cinque ore di intervento per un'operazione unica. Ora «Becco di Rame» non è solo il nuovo nome dell'oca, ma è anche un libro per bambini che racconta dell'oca orgogliosa del suo nuovo becco, diventata papà e pure leader del pollaio. Parla di disabilità e di riabilitazione, di ospedale e di operazioni. Una storia che non finisce col più classico dei classici «... e vissero tutti felici e contenti» ma con «vedete piccoli miei, questo racconto dimostra come possa essere straordinaria ed emozionante la vita». Quella vera che, a volte, ci mette davanti a prove difficili ma, come dimostra Becco di Rame, possono renderci ancora più forti e anche migliori di prima. Dall'inizio. Quando è nato Becco di rame si chiamava «Ottorino». È un'oca Tolosa (maschio) che vive nella fattoria di Alfredo e Gisella, sulle colline toscane. È una di quelle oche solitamente destinate a finire su qualche tavola imbandita. Ma non Ottorino, che per i suoi padroni diventa un animale di compagnia. Come un cane o un gatto. Vive nel pollaio. Starnazza. Cresce, fino a diventare un animalone che a un anno pesa 8 chili e se la spassa con le altre anatre della fattoria. Ma una notte di febbraio l'incidente: una volpe piomba nel pollaio. Ottorino, oca coraggiosa, difende i suoi amici. Nessuno sarà sbranato dalla volpe, ma lui nella battaglia ci rimette il becco. Senza il suo becco l'oca non riesce più a mangiare. Neppure se Alfredo e Gisella provano a imboccarla. Decidono di portarla dal veterinario del paese vicino. Si chiama Alberto Briganti. Di lui raccontano storie che hanno dello straordinario. Nella sua Clinica di Figline Valdarno, ha salvato sei lupi dell'Appennino, un gatto che si era addormentato nella lavatrice ed aveva fatto un lavaggio a 90 gradi. Ha cavato un dente a un elefante del circo, aiutato un bisonte a partorire... Ha 58 anni, è uno di quelli che lavorano con passione. Dopo 10 anni passati in una multinazionale tedesca, ha comprato a costo di grossi sacrifici e cinque mutui, un vecchio convento di 1700 metri quadri a Figline Valdarno. È qui che lavora ormai da venti anni. Ed è qui che arriva Ottorino col suo becco sbeccato. Briganti, col suo camice con le impronte colorate degli animali, ci pensa e ci ripensa. «Il tipo di lesione non permetteva nessun tipo di cure e neppure interventi chirurgici. L'unica strada era una protesi ma non ne esistevano ...» Poi l'idea. Recupera una lastra di rame, la modella. Fa l'impronta al becco di Ottorino. «Non ero sicuro della riuscita, non potevo sapevo se avrebbe tollerato la protesi, ho voluto provare», racconta Briganti. L'oca viene addormentata, il medico monta il becco di rame, arriccia i bordi, calcola esattamente i fori in corrispondenza di quelli che servono per respirare. Lo fissa con dei cerchiaggi chirurgici. E attende il risveglio. E qui la favola, diventa una vera fiaba. Becco di Rame si sveglia e appena apre gli occhi con la sua nuova protesi cerca di bucare la scatola in cui era stata adagiata. «Ha mostrato subito di avere acccettato il suo nuovo becco artificiale», racconta il medico. La sera stessa ha ricominciato a mangiare, senza dimostrare alcun fastidio. Dopo quattro mesi Gisella e Arturo raccontano che l'oca rincorre a becco aperto le auto che passano e l'impressione che sia diventato addirittura più forte e più sicuro di sé. A tal punto che strizza l'occhio ad un'altra oca e ben presto diventa papà di tanti piccoli anatroccoli che non si stanchano mai di ascoltare la sua storia. Fine. Il medico Briganti ora gira scuole e ospedali di tutta Italia per raccontare la storia ai bambini. Ha dato vita anche una Fondazione per aiutare tutto il mondo sportivo dei giovani atleti appartenenti al mondo dei protesici-disabili. E non nascondere il desiderio che l'oca col suo nome tradotto in Copperbeak diventi la mascotte delle Paralimpiadi del 2016 a Rio.fonte ilgiornale.it