Da dove iniziare a parlare delle mie oche? Ci sono tantissime cose che vorrei dire, decine di aneddoti divertenti, una quantità inimmaginabile di ricordi che si accavallano, premono nella memoria e poi si liberano tutti insieme, come in un’esplosione. Va beh, cominciamo dal principio, è sempre la scelta migliore.
Quando finii gli esami di quinta elementare i miei genitori mi dissero di scegliere un regalino per festeggiare. Non volli un videogioco, una nuova bicicletta o qualsiasi altro oggetto che ci si aspetterebbe da una bambina di dieci anni. Chiesi tre ochette. Non so perché mi venne questa idea, ma è stata sicuramente una delle idee migliori della mia vita.
Chi usa la parola oca come insulto non sa niente di questi splendidi ed eleganti pennuti. Le oche non sono né stupide né sgraziate. Sono animali svegli, curiosi, orgogliosi e con una certa dignità. Fuori dall’acqua sono a volte un po’ impacciate, è vero, ma dopotutto le loro zampe palmate non sono fatte per correre, ma per tuffarsi e nuotare. È come se noi andassimo a passeggio indossando un paio di pinne.
Sanno comunicare i loro bisogni e i loro stati d’animo con un’efficacia sorprendente con gli occhi, i movimenti del corpo, con un loro particolare linguaggio fatto di soffi e brontolii. Se le si osserva con attenzione dopo un po’ diventa facile interpretare i loro schiamazzi, e si può addirittura parlare con loro (io lo faccio!).
Gelosia, sorpresa, delusione, gioia, paura, tristezza: sono tutti sentimenti che rovano anche loro.
Sono inoltre un ottimo sistema di allarme: essendo animali erritoriali, quando qualche estraneo si avvicina troppo sbuffano e starnazzano a più non posso per minacciarlo e diventano aggressive, soprattutto se hanno le uova o i pulcini. Vi assicuro che essere assaliti da un’oca non è piacevole: se beccare non basta, è pronta a saltarti addosso e a frustarti con le ali con grande violenza.
I piccoli imparano dai genitori a becchettare, a scegliere le erbe migliori, a riconoscere i pericoli, a muoversi in acqua con destrezza, a curare il piumaggio. Soprattutto nelle prime settimane di vita sono legatissimi alla loro mamma e non si separano mai da lei, la seguono ovunque, la chiamano disperati quando la perdono di vista, cercano il calore delle sue piume quando hanno freddo. Tutte queste cose non le ho imparate leggendo libri o guardando documentari, ma perché la mamma di tutte le oche che ho avuto sono stata io.
Crescere un’ochetta non è molto diverso dal crescere un bambino: entrambi dipendono in tutto e per tutto da te, tu sei responsabile della loro salute, della loro educazione e della loro felicità, ricordi con tenerezza il loro primo bagnetto, la prima volta che si sono persi, il momento in cui di te non hanno più avuto bisogno. Le mie oche mi ha regalato emozioni indimenticabili.
Le prime furono Arcibaldo (poi soprannominato Cillo), Pompeo e Gelsomina.
Cillo purtroppo rimase presto da solo. Le oche sono animali gregari, che soffrono se non stanno in gruppo, così in primavera comprai altre tre ochette per fargli compagnia. Ero un po’ preoccupata, avevo paura che le rifiutasse o peggio che facesse loro del male, non riconoscendole come “piume delle sue piume”. Mi sbagliavo di grosso. Non appena le vide, se ne appropriò e comincio a comportarsi da papà iperprotettivo. Più tardi scoprii che non è cosa rara che un’oca maschio adulta adotti una nidiata di ochette rimaste orfane.
Cillo prese in moglie Grifone, l’oca più scorbutica di tutte. Ricordo che quando vidi il suo primo uovo un po’ mi spaventai. Per forza, noi siamo abituati a maneggiare uova di gallina, che pesano in media 50 grammi, mentre un uovo d’oca pesa come minimo un etto e mezzo! E la quantità poi: in un anno Grifone depose 61 uova, per un totale di circa nove chili. Ben più del suo peso. Alcune le facemmo schiudere in incubatrice, le altre le mangiammo. Le uova d’oca sono molto buone, permettono di preparare frittate deliziose e rendono l’impasto delle torte soffice ed elastico.
Cillo è stato il più longevo: è vissuto otto anni, un’età ragguardevole per un’oca. È stato straziante vederlo morire: era lì, riverso per terra, che mi guardava con quei suoi occhi profondi che poco a poco si spegnevano e mi chiamava, cercando la mia voce come conforto, implorando una carezza. Non avevo mai visto un animale giunto alla fine esprimere così chiaramente la paura di morire.
Dalle uova di Grifone nacquero Cippo e Cippa, che ancora oggi mi fanno compagnia (e mi svegliano alle quattro di mattina con i loro strilli, masticano i tulipani, fanno razzia di insalata quando si intrufolano nell’orto, inseguono le galline, cercano di staccare la coda ai gatti… ma lasciamo stare, ci vorrebbe un libro solo per raccontare tutti i disastri che combinano).
Gli ultimi nati, che ormai hanno due anni, sono Donald, Pagaia, Tibor e Fifì. Sono oche pazzoidi. Donald sta cercando di spodestare Cippo e di prendere il comando del gruppo, ma nessuna delle altre lo considera un capo. Dovreste vedere come ci rimane male quando i suoi fratelli e sorelle non gli danno retta!
Una volta ha perfino salito le scale esterne di casa mia raggiungendo il balcone. Quando si è accorto di non essere più capace di scendere (eh già, scendere è tutt’altra cosa per chi ha le ginocchia al contrario) è stato preso dal panico e ha iniziato ad agitarsi: urlava terrorizzato, cercava di passare fra le sbarre della ringhiera, non riconosceva più neanche me. L’operazione di salvataggio è durata almeno un’ora, ma alla fine sono riuscita a farlo volare giù nel prato. Quando ha raggiunto le altre e si è tranquillizzato, si è addormentato di colpo, sfinito. Vedete, vuole fare il capo ma è ancora giovane e inesperto (a volte un po’ ridicolo, lo ammetto, ma tanto simpatico).
Pagaia non starnazza, fischia: fa di quegli acuti che ti perforano i timpani e che si sentono a più di mezzo chilometro di distanza. Ogni giorno temo che qualche vicino, esasperato, chiami i carabinieri per disturbo alla quiete pubblica.
Tibor è grigia e ha una fascia bianca sul petto. È molto vanitosa, a volte si incanta a rimirarsi sulla superficie dell’acqua. Anche lei quest’anno ha fatto una quantità spropositata di uova.
Poi c’è Fifì. È nata per ultima, era un po’ debole e non riusciva a uscire dall’uovo. Ho dovuto aiutarla a nascere io, perché Cippa aveva pensato bene di andarsene a spasso insieme alle altre tre (che madre snaturata). Per una decina di giorni ho temuto che non ce la facesse, mangiava pochissimo e non riusciva a stare in piedi a causa di una malformazione all’anca. Poi, a forza di granaglie arricchite con vitamine, fisioterapia nel laghetto vicino a casa e tanta pazienza, si è ripresa in modo sorprendente. È rimasta piccola e zoppa, ma in compenso è diventata tremenda: tiene in riga tutte le altre e, consapevole di essere la mia prediletta, ruba loro cibo e attenzioni.